Dal libro "Omaggio a San Marco" - Electa - Milano, 1994
In che modo fu scritto e venne a diffondersi il Vangelo di Marco nei primi secoli cristiani? E qual è la copia più antica giunta fino a noi? All'epoca di Marco, e fino al II-III secolo d.C., la forma normale di libro nel mondo greco-romano fu il rotolo, di regola costituito da fogli di papiro ricavati mediante lavorazione del fusto dell'omoni- ma pianta e incollati l'uno all'altro fino a formare una lunga banda (tra i 3-4 e i 9-10 metri circa, secondo la quantità di testo programmata), sulla quale si scriveva in colonne che si susseguivano una dopo l'altra per tutta la lunghezza del manufatto. Quest'ultimo si conservava di solito arrotolato e veniva svolto al momento della lettura. Un rotolo contenente il Vangelo di Marco si può calcolare - in relazione a quanto si conosce sulle tecniche e convenzioni librarie antiche - di una lunghezza intorno ai 5,80 metri. Si tratta tuttavia di una ricostruzione puramente speculativa, in quanto non rimane alcun esemplare integro o frammentario del testo marciano scritto su un rotolo. Non del tutto fondata, infatti, si è rivelata l'ipotesi che frammenti di rotoli greci ritrovati a Qumrân contenessero resti del Vangelo di Marco.
È solo nel tardo III secolo che s'incontra il primo manoscritto - un papiro greco-egizio della collezione Chester Beatty di Dublino - che restituisce, sia pure in frammenti, il testo marciano. Ma questo manoscritto si presenta nella specie non di rotolo ma di codice, vale a dire in una tipologia a fascicoli e a pagine che, perpetuandosi nel tempo, è sfociata all'epoca della stampa nella forma del libro moderno quale noi ancora oggi pratichiamo. Il codice Chester Beatty contiene i Quattro Vangeli e gli Atti (in tutto solo una trentina di fogli sui circa 110 originari) ed è peraltro costruito non a fascicoli veri e propri ma con fogli piegati e posti l'uno sull'altro, rivelando così una manifattura ancora primitiva. Del resto i primi libri dei cristiani mostrano di regola tecniche rozze e scritture informali, prodotti com'erano in economia, al di fuori dei circuiti librari "alti", talora all'interno delle stesse comunità, e magari, al tempo delle persecuzioni, di nascosto.
Già da tempo è stata osservata la stretta connessione tra cristianesimo e sostituzione della forma libraria del codice a quella del rotolo. Invero il cristianesimo, al momento del suo proporsi come religione scritta rivolta a tutti, faceva leva su fasce alfabetizzate di diverso livello sociale e culturale: fasce costituite non tanto o non soltanto dal tradizionale pubblico di lettori più o meno colti adusi al libro-rotolo, ma anche da quello che si può indicare come" pubblico del codice", nel senso di individui forniti molto più che di un alfabetismo funzionale, ma privi di strumenti culturali affinati, ai quali la cultura scritta era più vicina e familiare nella specie di note-books lignei, di taccuini di pergamena, di quaderni scolastici, i quali tutti avevano la forma di codice. La scelta dei cristiani per la diffusione dei loro scritti si orientò, dunque, per il tipo di manufatto di più generalizzato uso quotidiano, anche perché composto "a pagine" e quindi più adatto a una letteratura di riferimento come quella delle Sacre Scritture. All'affermarsi del codice tra i cristiani non fu estranea, pure,la sua assai più larga capienza rispetto al rotolo, la quale permetteva di riunire in un unico libro i Quattro Vangeli (eventualmente insieme ad altri testi delle Scritture) al momento in cui essi divennero canonici. Su rotolo, infatti,per contenere insieme Matteo, Marco, Luca e Giovanni sarebbe stato necessario un esemplare di 30 metri circa, misura non compatibile con lo standard corrente, comunque mai testimoniata. E così, "the Four-Gospel canon and the Four-Gospel codex are [...] inseparable", come è stato scritto. Già Ireneo, alla fine del Il secolo, sembra conoscere un esemplare dei Quattro Vangeli canonici riuniti in un unico codice, pur se a quell'epoca doveva trattarsi ancora di edizione rara.
All'inizio del III secolo è testimoniato un frammento del Diatessaron di Taziano, il Vangelo unico, derivato dall'armonia dei Quattro ed elaborato qualche decennio prima presumibilmente su un Tetravangelo che non si può escludere fosse contenuto in un solo volume, come l'esemplare di Ireneo.
Si è ritenuto che il testo di Marco - il quale è il primo ad adoperare il termine evanghelion per indicare la Buona Novella, il Vangelo di Cristo - sia stato steso in greco a Roma, sulla base di ricordi di Pietro, già in origine nella specie di codice, contribuendo così, attraverso la Chiesa di Alessandria, fortemente legata all'evangelista, alla diffusione di quella forma libraria anche nell'Oriente cristiano. Il testo di Marco fu scritto, è vero, con ogni probabilità - in forma autografa dall'autore stesso o sotto dettatura - su quei materiali in forma di codice (tavolette o taccuini) ch'erano all'epoca i più usuali per brogliacci e stesure d'autore; ma una volta divenuto definitivo, non si sa se il testo abbia avuto una veste "editoriale" in forma di rotolo o di codice. Quest'ultima tipologia il Vangelo marciano aveva comunque assunto di certo già prima del tardo III secolo, l'epoca in cui il codice Chester Beatty ne documenta la prima testimonianza diretta. Anzi a quest'epoca i testi evangelici si mostrano normalmente accorpati in un unico codice-libro, mentre per l'età più antica la documentazione superstite lascia credere che fossero diffusi soprattutto libri contenenti un solo Vangelo o, al più, due. In origine, insomma, il testo di Marco dovette circolare anche singolarmente, ma nessun ruolo particolare sembra aver giocato nella diffusione della forma del codice.
A quanto dimostrano per l'Oriente cristiano i ritrovamenti greco-egizi di testi del Nuovo Testamento, il Vangelo di Marco si diffuse più lentamente e più tardi di quelli di Matteo, Luca e Giovanni. Di quest'ultimo è attestato un frammento già nella prima metà del Il secolo d.C.; e nell'arco di tempo tra il tardo II e lo scorcio del III, quando si ha il primo codice contenente San Marco, risulta in circolazione un certo numero di esemplari che recano per lo più il Vangelo di Giovanni, ma anche quelli di Matteo e di Luca. Anche questa varietà nel numero delle testimonianze direttamente conservatesi relative a ciascuno dei Vangeli fa credere che questi in età più antica circolassero soprattutto separatamente, pur se abbastanza presto il canone ne impose e il codice ne rese possibile l'accorpamento.
In questa prospettiva, del Vangelo di Marco si è detto perciò che è stato "the least read and easteemed in the early Church". Questo è vero. Ma il problema della prima circolazione dei testi neotestamentari in forma scritta va considerato anche sotto un altro angolo visuale. Dal catalogo dei più antichi manoscritti cristiani compilato da Joseph van Haelst, risulta che fino al II-III secolo circa se ne incontrano - tenendo conto dell'oscillazione delle date assegnate - soltanto una decina del Nuovo Testamento. il fatto che a quell'epoca il cristianesimo non fosse ancora religione istituzionale spiega solo in parte questa carenza di cultura scritta cristiana. La ragione va cercata anche altrimenti. In origine il cristianesimo fu fondato sulla parola, sulla predicazione, sulla "viva voce". Lo Spirito Santo fornisce gli apostoli di lingue a essi sconosciute, non di libri. Gli stessi Vangeli si propongono come l'esito ultimo di fasi che vanno dalla trasmissione orale alla memoria scritta di detti e fatti di Cristo fino alla stesura definitiva. In questa fase di oralità non è improbabile che i testi degli evangelisti, pur una volta messi per iscritto, abbiano circolato in esemplari assai scarsi. Resta il fatto tuttavia che, rispetto agli altri Vangeli canonici, quello di Marco sembra aver avuto inizialmente una minore diffusione, giacché tra quella diecina di manoscritti neotestamentari più antichi, nessuno reca il testo marciano. A partire dal pieno III secolo, la produzione sempre più larga di codici contenenti tutto il Nuovo Testamento o almeno larga parte di questo o i Quattro Vangeli canonici, e più tardi la produzione di intere Bibbie, contribuì a una diffusione simultanea dei Vangeli e quindi ad attenuare notevolmente il primitivo scarto nel loro diverso tasso di diffusione.
Nel secolo IV la Chiesa aveva ormai posto la parola scritta a fondamento del suo credo e dell'ulteriore espansione di quest'ultimo. il Vangelo di Marco trovava, così, il suo veicolo di diffusione in una produzione libraria non solo assai più abbondante che nel passato ma anche fortemente rinnovata nei modelli In questa stessa epoca, infatti, con l'avvento di Costantino e l'istituzionalizzarsi della Chiesa, il codice cristiano veniva a emanciparsi dal suo originario stato di libro di seconda qualità definendosi in tutti gli aspetti tecnici: nella scelta del materiale scrittorio (la pergamena) e dei tipi grafici (scritture di alta leggibilità), nell'architettura compositiva (formato, fascicolazione, mise en page), nella tecnica dell'edizione (controllo e collazione dei testi), nonché in quella che doveva essere la novità più appariscente, la decorazione del libro sacro. All'incirca all'epoca di Costantino s'incontra un frammento degli Atti che sembra costituire per gli scritti del Nuovo Testamento greco la più antica testimonianza conservatasi di pergamena, la materia scrittoria ricavata da pelle animale, talora finemente lavorata, mentre il papiro pare essersi mantenuto in uso quasi esclusivamente in Egitto in quanto materiale scrittorio ivi prodotto. Il frammento può essere il poco che rimane di un originario codice che conteneva, oltre agli Atti, anche i Quattro Vangeli, come il codice Chester Beatty di età non molto anteriore. Fino ai primi anni del V secolo modulo preferenziale del codice cristiano in Oriente si dimostra quello quadrato, al di là delle dimensioni, molto variabili, di singoli codici, prodotti in una gamma che va dai grandi formati a quelli in miniatura; ma diffuso, al punto da prendere il sopravvento nel corso del V secolo, fu anche il libro di tipo rettangolare, assai vicino come taglia a quello più corrente dei nostri giorni. Infine, un'altra caratteristica del codice cristiano di quest'epoca risulta la spiccata preferenza per la disposizione della scrittura su due (o talora più) strette colonne in ciascun foglio.
È in codici di questa specie, dunque, che il Vangelo di Marco si diffuse il IV e il VI secolo emergono sugli altri i primi, grandi codici greci dell'intera Bibbia cosiddetti Vaticano, Sinaitico e Alessandrino: si tratta di codici di alta qualità editoriale, ricostruiti nella misura originaria rispettivamente di almeno 1600, 1460 e 1640 pagine, vergati in quella scrittura che, per il suo forte quoziente di leggibilità, divenne la più diffusa nelle pratiche librarie cristiane tardo antiche, tanto da essere indicata, oggi, con la denominazione di "maiuscola biblica". Il codice Vaticano, prodotto nei decenni centrali del secolo IV, è stato messo in relazione, da più parti e su fondamenti di qualche consistenza, con Atanasio vescovo di Alessandria (328 ca-373); e ove si consideri che anche i caratteri recensionali del testo e certe connotazioni linguistiche riportano all'Egitto, è suggestivo credere - pur se va ritenuta solo un'ipotesi - che il manoscritto Vaticano possa essere una delle Bibbie che Costante imperatore (337-350) volle ordinare allo stesso Atanasio perché le inviasse a Roma. Né si può escludere che - in alternativa a Costantinopoli, ove per motivi di conservazione antica è stato pure attribuito - nella stessa Alessandria e nello stesso laboratorio di copia del Vaticano, sia stato prodotto circa un secolo più tardi il codice Alessandrino, detto così perché trovato ad Alessandria nel 1621 dal patriarca Cirillo Lucari. Quanto, infine, al codice Sinaitico, scoperto al monastero di Santa Caterina del Sinai, il manoscritto sembra sia stato prodotto non in Egitto ma a Cesarea di Palestina. Si è anche ritenuto che possa trattarsi di una delle cinquanta Bibbie ordinate da Costantino a Eusebio intorno al3 30 evidentemente per le chiese di Costantinopoli, la nuova capitale, in un'epoca in cui questa non era ancora attrezzata per una produzione libraria ampia e di qualità alta. Certo, il codice Sinaitico rivela tutte le caratteristiche richieste da Costantino per le sue Bibbie (pergamena ben lavorata, manifattura tecnico-libraria rifinita, quoziente di leggibilità elevato), ma - nonostante tutto questo - l'indole grafica ne consiglia una datazione più tarda del 330 circa. Va detto, piuttosto, che l'attività di un laboratorio di copia a Cesarea, tra i continuatori della scuola di Origene, si può ritenere continuasse anche più tardi dell' età di Costantino, e che perciò il Sinaitico possa esservi stato prodotto intorno alla metà del IV secolo.
A partire all'incirca da quest'epoca la diffusione del Vangelo di Marco era ormai assicurata non soltanto da laboratori di copia esistenti nelle grandi aree urbane; su un altro versante c'erano, infatti, comunità monastiche, cerchie vescovili, case private di aristocratici convertiti che diventavano sempre più sedi di trascrizione di testi sacri, tra i quali il Vecchio e il Nuovo Testamento occupavano il massimo posto. Tra i manoscritti usciti da questi milieux dell'Oriente cristiano fra IV e VI secolo, pur se non se ne può precisare l'origine, sono da annoverare il cosiddetto codice Freer dei Vangeli del V secolo, o il Codex Bezae greco-latino dei primi anni dello stesso secolo (un codice che la critica più recente ritiene sia stato prodotto a Berytus, l'odierna Beirut), o ancora il Codex Ephremi rescriptus del VI. Di molti altri codici di quest'epoca rimangono solo frammenti.
I manoscritti finora considerati, se di formato maneggevole e di contenuto limitato, erano libri destinati alla lettura di edificazione, o anche, come nel caso dei codici Vaticano, Sinaitico e Alessandrino della Bibbia, all'uso comunitario di una chiesa o di una cerchia religiosa. Ma nasce nel tardo IV secolo e si diffonde più tardi il tipo di codice cristiano di lusso, e non tanto a motivo di ricche illustrazioni (che potevano anche mancare), ma in quanto nei suoi prodotti più superbi era confezionato con pergamena purpurea, scritto in lettere d'oro e d'argento, rivestito di gemme. Il fenomeno è tanto più significante perché rappresenta l'estremo capovolgimento delle prime pratiche librarie cristiane: quello stesso codice, una volta scelto come materiale scrittorio più corrente e di più basso costo, finiva man mano col diventare dispendioso oggetto d'apparato, salendo altresì dalle semplici letture individuali o comunitarie dei fedeli alla cerimonia imponente del Vangelo portato trionfalmente in processione all'altare.
Lo stesso Vangelo di Marco risulta trascritto nel V-VI secolo in manoscritti del genere. Se ne incontra il testo greco nei codici Beratinus, Rossanensis e cosiddetto N dei Vangeli. Quale il significato? A costituire lo specifico della tipologia libraria di questi manoscritti sono fattori vari: la qualità alta della pergamena, la strutturazione rigorosa della pagina, l'uso di inchiostri preziosi, la monumentalità delle forme grafiche, talora l'aggiunta di illustrazioni; ma il carattere che più degli altri spicca è la colorazione purpurea, ed è perciò soprattutto in quest'ultima che si deve cercare il modulo interpretativo. Nella tarda antichità la porpora come attributo imperiale viene ad assumere valore assoluto fino alla coincidenza tra adorare purpuram e adorare principem: il culto riservato all'imperatore si sposta dalla persona all'attributo esteriore che, rapprentandone lo status, assurge a simbolo del potere stesso. E dunque, per uno spostamento di valori semantici dalla simbologia del potere imperiale alla simbologia della sacralità divina, il Verbo cristiano assume il colore della porpora, atto a conferire al libro/Vangelo la valenza di oggetto di adoratio. Nella semantica dei colori elaborata dai cristiani la porpora, quindi, veniva a porsi, sul modello imperiale, come simbolo del regno di Cristo.
A tutto questo deve aggiungersi un'altra circostanza: l'insorgere nella tarda antichità di cerimonie sacre (si è fatto cenno al Vangelo portato processionalmente all'altare) che per solennità di celebrazione e splendore di oggetti tendevano a emulare o sostituire quelle inscenate in occasione degli adventus imperiali o di altre pompae; e in un contesto del genere il libro della parola di Cristo, esaltato dalla veste purpurea e da un apposito rituale, trovava appropriata collocazione. In questa prospettiva, codici quali il Beratinus, il manoscritto N dei Vangeli e soprattutto il Rossanensis splendidamente decorato (come anche certi analoghi codici latini, di cui si dirà) sembrano aver avuto la funzione di libri da cerimonia sacra, pompa liturgica, ostensio pubblica, pur se non se ne possono indicare i modi precisi d'uso. In ogni caso si tratta di libri destinati a entrare nell'immaginario individuale o collettivo dell'uomo tardo antico come forma di rappresentazione del sacro stesso.
Ove si passi dall'Oriente all'Occidente, del testo latino del Vangelo di di Marco non si hanno testimonianze dirette anteriori al IV secolo. Né la creazione stessa del codice con i nuovi scritti cristiani in lingua latina poté precedere di molto quel torno di tempo, e comunque fu di sicuro più tarda della creazione di quello di lingua greca: la Chiesa romana continuò a lungo a usare il greco; soltanto nell'ultimo scorcio del Il secolo cominciarono a circolare rare versioni del Nuovo Testamento; e quanto alla liturgia, se ne ebbe la definitiva latinizzazione ancor più tardi, all'epoca del pontificato damasiano c,1 (360-382), pur se forse è da ritenere che essa risalisse già alla fine del 111 secolo e che al tempo di papa Damaso giungesse all'assestamento conclusivo. Fu dunque a partire dal momento della diffusione delle Scritture in lingua latina e dell'adozione di quest'ultima negli uffici del culto che dovette iniziare una espansione, divenuta vasta assai rapidamente, di codici cristiani latini con il Vangelo di Marco. Questi codici - o almeno quanti se ne conservano - sono tutti di pergamena, risultano scritti per la più parte in onciale, la scrittura latina cristiana per eccellenza, mostrano fino al V secolo, pur se si tratta di una tendenza di carattere generale e non di una regola, formato piuttosto ridotto (codices minores), scrittura a piena pagina e testo della Vetus Latina, mentre nel VI presentano un formato più ampio (codices maiores), impaginazione su due colonne, testo della Vulgata secondo la traduzione-revisione della Bibbia eseguita da San Girolamo.
Fino ai tempi di Gregorio Magno (590-604) si hanno una quarantina di manoscritti latini dei Vangeli, ma assai numerosi si devono considerare quelli andati perduti. I Vangeli, infatti, tra il V-VI secolo si erano diffusi in ogni dove, tanto che nel 471 persino una chiesetta di campagna presso Tivoli ne possedeva un esemplare. Il più antico manoscritto latino superstite con il Vangelo di Marco sembra il cosiddetto codex Vercellensis considerato coevo del vescovo Eusebio di Vercelli (371). E tra i primi esemplari giunti fino a noi va annoverato anche il Codex Bobiensis del IV-V secolo che pare appartenuto, circa due secoli più tardi, a San Colombano di Bobbio. Alla stessa epoca la versione latina dei Vangeli si era diffusa anche in Oriente se, come si è ritenuto, a Beirut fu prodotto il già ricordato Codex Bezae. E ancora, tra i manoscritti dei Vangeli latini scritti in area occidentale si pone come uno dei più notevoli quel Codex Forojuliensis prodotto all'inizio del secolo VI forse ad Aquileia, il cui Vangelo di Marco fu per lungo tempo ritenuto - certo a torto, ma un torto suggestivo - in greco e autografo dell'evangelista. Né va dimenticato il più antico manoscritto contenente l'intero Nuovo Testamento latino, il Codex Fudensis annotato di propria mano dal vescovo Vittore di Capua tra il 546 e il 547.
Alcuni di questi codici si devono ritenere usciti da botteghe librarie: ad Angers si conserva un manoscritto dei Vangeli del IX-X secolo che risulta essere copia di un esemplare prodotto nella bottega romana, sita presso San Pietro in Vincoli, di un libraio Gaudioso, attivo forse tra V e VI secolo, segno di un artigianato in vita. Altri manoscritti furono certo prodotti da singoli amanuensi a servizio nelle case di individui facoltosi, devoti e amanti dei libri, e altri ancora furono allestiti in scriptoria vescovili o monastici di nuova fondazione. In particolare, tra gli ultimi anni del secolo V fino all'età giustinianea, sede di una produzione libraria di esemplari dei Vangeli sembra sia stata Ravenna, ove all'epoca del re goto Teodorico (493-526), fu trascritto un discreto numero di codici goti, goto-latini e latini. Tra questi il più notevole è sicuramente il Codex Argenteus, Vangelo goto purpureo, scritto con inchiostro argenteo (o aureo), "opera di raffinata, barbarica oreficeria in cui la"pagina è ridotta a sfondo di colore e la scrittura a puro disegno ornamentale"; ma è pure da ricordare il Vangelo purpureo - latino, ma riverberante il tipo di testo goto - noto come Bibbia Queriniana. Si tratta di esemplari aulici, eseguiti in una scrittura monumentale a ragione detta uncialis gigantea, prodotti, a quanto tutto lascia credere, per Teodorico stesso e la sua corte, imposti dalle esigenze del culto ariano. Vi sono inoltre alcuni manoscritti latini d'alto livello tecnico e all'incirca della stessa epoca, anche questi vergati in uncialis gigantea, dei quali non si può escludere un'origine ravennate: i codici detti Neapolitanus, Veronensis e Palatinus, tutti contenenti il Vangelo di Marco.
In altri casi, questa produzione di manoscritti dei Vangeli a Ravenna si può ricostruire da copie più tarde. Un caso certo è costituito dai Vangeli di Ecclesio, vescovo ravennate dal 522 al 532 circa: in un manoscritto del IX secolo, alla fine proprio del Vangelo di Marco, può leggersi una sottoscrizione ricopiata dal codice originale del VI, dalla quale risulta che questo originale era stato corretto e interpunto nella cerchia del vescovo Ecclesio. Ma vi sono anche grandi manoscritti d'apparato di epoca più tarda per i quali è stata avanzata l'ipotesi di modelli ravennati del VI secolo a monte. Tali i Vangeli Barberini di manifattura insulare, prodotti dopo la metà dell'VIII secolo, e il codice, sempre dei Vangeli, scritto in Burgundia da un amanuense, Gundoino, di data coeva; e tali l'Evangeliario fatto eseguire alla fine di quello stesso secolo da Godescalco, ultimus famuius, per Carlo Magno, e l'altro Evangeliario, il Codex Millenarius, prodotto con tutta probabilità a Mondsee intorno all'800: in tutti questi manoscritti i ritratti degli evangelisti e/o i loro simboli sono stati messi in relazione con specifici materiali figurativi della Ravenna del VI secolo, e fanno perciò credere a modelli librari ravennati perduti di quest'epoca, forniti di apparati decorativi.
In relazione alla più antica diffusione del Vangelo di Marco si pone anche il problema della formazione del "ritratto", per così dire, dell'evangelista. La Chiesa primitiva non sembra sia stata favorevole, in generale, alle immagini, le quali comportavano il rischio dell'idolatria. Ma quando l'immagine cristiana fu finalmente accolta nella sfera del sacro, ritratti di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, accompagnati o meno dai loro simboli, furono talora premessi ai rispettivi Vangeli, secondo la pratica, piuttosto diffusa nel libro greco-romano di buona qualità, di porre il ritratto dell'autore come "frontespizio" della sua opera. I cristiani non fecero altro che continuare una tradizione già consolidata e propria del mondo classico. Fin dal IV secolo, poi, cicli iconografici cristiani sono testimoniati sia dalla conservazione diretta di materiali artistici sia indiretta- mente dalla riflessione dei Padri della Chiesa sull'immagine sacra. Nelle pratiche librarie i caratteri illustrativi del Nuovo Testamento, pur se forse già definitisi in quest' epoca, si possono tuttavia vedere documentati per la prima volta solo più tardi, nell'inoltrato VI secolo, nei codici Sinopensis (restano alcuni fogli con una patte del Vangelo di Matteo} e Rossanensis. Proprio quest'ultimo manoscritto, contenente i Vangeli di Matteo e di Marco, reca prima del secondo Vangelo il ritratto dello stesso Marco. È questione discussa se questa immagine sia da riferire al tardo VI secolo, la datazione cui è assegnato il Rossanensis, o se si tratti di un inserimento seriore. Ma la presunzione di autenticità obbliga a soffermarsi su questa illustrazione. Marco vi figura seduto su una sedia dall' alto schienale. Egli si sporge in avanti, con lo sguardo fisso sulla mano destra che si posa su un rotolo aperto e fluttuante sulle ginocchia, privo com'è di un sostegno. Su questo rotolo, con un inchiostro rossastro risulta scritto in greco solo il titolo del suo Vangelo. Marco è "assistito" da una figura femminile, da identificare forse con la Sophia, la sapientia cristiana, che sembra ispirarlo. La miniatura, infatti, lungi dall'essere un semplice ritratto, riproduce la concentrazione mentale che precede l'atto materiale dello scrivere.
Nella basilare distinzione dei ritratti degli evangelisti tra quelli che mostrano l'immagine in piedi e quelli, assai più frequenti e con più variazioni iconografiche all'interno, che la danno seduta per lo più mentre scrive il suo Vangelo o medita, la figura di Marco nel Rossanensis appartiene evidentemente a questa seconda categoria. Ma nello stesso codice di Rossano l'immagine di Marco, pur se "a mezzo busto", compare anche in uno dei medaglioni dedicati agli evangelisti - quello di sinistra - inseriti nella fascia circolare a piena pagina che incornicia il titolo premesso alle tavole eusebiane oggi perdute. Quanto alla figura dell'evangelista in piedi, il manoscritto dei Vangeli in siriaco detto di Rabbuia (dal nome dello scriba) ne offre per la stessa epoca, tardo VI secolo, sicura testimonianza, non solo per Marco, ma anche per Luca.
L'iconografia marciana dunque - documentata fin dal IV secolo nell'arte plastica e monumentale - nel VI si era ormai diffusa anche nella illustrazione libraria. A parte le testimonianze, già ricordate, prodotte nell'Oriente cristiano, si possono indicare per l'Occidente manoscritti più tardi come i già menzionati Vangeli Barberini del secolo VIII o il Codex Millenarius dell'800 circa, i quali - corredati di sontuosi ritratti degli evangelisti, e quindi di Marco - sembrano riverberare modelli del VI. E quanto all'arte monumentale, basti ancora una volta il rimando a Ravenna, alle strepitose immagini musive della basilica di San Vitale in età giustinianea raffiguranti i quattro evangelisti.
Al Vangelo e all'iconografia di Marco non restava che continuare il suo trionfale cammino.